domenica 27 febbraio 2011

Antichi mestieri

‘i ciucciar’Il ciuco ha caratterizzato nei secoli la tradizione contadina di San Bartolomeo in Galdo. I ‘ciucciar’ erano commercianti di ciuchi. Le contrattazioni ad oggetto i somari erano ancora ricorrenti negli anni ’70.
Commercianti di asini in paese ve ne erano non pochi, alcuni venivano addirittura da altri paesi. Anche i zingari venivano in paese per vendere ciuchi, muli e giumente. Si assisteva così a delle animate contrattazioni che potevano sfociare anche in baruffe.
L’asino e i suoi simili, rappresentavano per la comunità, un valido ausilio nelle più disparate attività. Di frequente capitava di assistere in qualche vicoletto alla tosatura di un asinello, così come alla ferratura, con la quale il maniscalco sistemava allo zoccolo dell’animale un ferro che poi fissava con dei chiodi.
Nelle ‘ruelle’ ossia nelle viottole strettissime che portavano a vigneti e uliveti, si vedevano vecchiette che aggrappate alla coda del ciuco si lasciavano tirare nei tratti più in salita. Durante la vendemmia si ponevano sulla groppa del ciuco delle tinozze piene d’uva e si ci inerpicava per queste viottole e similmente avveniva nella stagione delle olive. In fin dei conti, sempre carico di qualcosa, il ciuco raffigurava un segno di agiatezza per chi lo teneva. Ed è da evidenziare l’importanza vitale rappresentata dal latte di asina per alcuni bambini in quei miseri tempi.
‘i vaccar e i crapar’ ‘Vaccar e crapar’ erano altre figure tipiche dell'economia antica di questo piccolo paesino posizionato sulle verdi colline sannite. A quei tempi, la stagione che portava con se, prima di ogni altra cosa, una certa trepidazione, era l'inverno, per difendersi dal freddo si teneva in casa il braciere, si manteneva dentro di esso il fuoco sempre vivo, intorno vi si riuniva tutta la famiglia nelle interminabili serate, ed ognuno si dedicava a qualcosa: chi al ricamo, chi a filare la lana, chi ad intagliare il legno e chi ad intrecciare salici per costruire cesti... tutto alla flebile luce del lume ad olio.
A primavera vi era l'esplosione della natura, la campagna diveniva un susseguirsi di colori, prevaleva dappertutto il verde, ma qua e là comparivano screziature di diversi colori e odori, e con la bella stagione iniziava l’attività di ‘vaccar e caprar’ ossia coloro che portavano al pascolo mucche e capre.
Il pastore di capre, di buon mattino passando per le case del paese, prendeva in consegna le capre e li portava al pascolo, poi al calare del sole faceva ritorno in paese . Solitamente aveva un compenso annuo in natura: olio, vino, granturco o grano. Tenere una capra significava avere una scodella di latte fresco ogni mattina da dare ai piccini. La Valfortorina era la varietà di capre più diffusa, aveva un lungo vello bicolore.
Il pascolatore di mucche era una figura legata alle fattorie, dove vi era una specializzazione delle diverse mansioni, passava l'intera giornata al pascolo dietro alle mucche, poi quando ritornava alla fattoria le mungeva, il latte si vendeva in paese, di casa in casa. La varietà più diffusa di mucche era l’Agerolese, rustica, piccola e rossiccia.
‘i purcar’Un’altra figura dell’economia spicciola del paese di mezzo secolo fa era appunto ‘u purcar’ ossia il guardiano dei maiali. A quel tempo i maiali che venivano allevati nei paesini della provincia di Benevento erano principalmente di razza Casertana, di colore nero e decisamente rustici, caratterizzati da pochissime setole per cui venivano anche definiti col termine ‘pelatella’ e avevano dei bargiglioni sotto il collo, fornivano a dicembre una buona produzione di lardo.
Ogni famiglia acquistava alla fiera del bestiame uno o più maialini, a cui venivano preparati un giaciglio di foglie e paglia in un piccolo bugigattolo ‘a roll’. Di buon mattino il porcaro girando per le viottole del paese metteva insieme un po’ di maiali e li portava nei boschi dove potevano rinfilzarsi di ghiande, erbe di diverse varietà, tuberi e funghi.
Quindi dalla mattina alla sera il porcaro avvalendosi dei cani, aveva la possibilità di portare nella macchia i maiali, si stabiliva tra cane e porcaro un certo affiatamento ed un reciproco intendimento.
Al tramonto li riconduceva in paese alle proprie case, dove l’alimentazione veniva integrata con gli avanzi. Nel mese di dicembre il maiale diveniva prelibatezza per la mensa. Il sanguinaccio dolce era una leccornia che teneva buoni i bambini.
‘ i pcurar’Un’altra figura caratteristica era ‘u pcurar’ ossia il pastore di pecore.
Le vie d'erba che animarono nel corso dei secoli la civiltà della transumanza, richiamano alla mente un fenomeno vecchio di secoli.
Nell'Italia meridionale alle prime nevi di settembre, quando la montagna diveniva inospitale con i primi freddi autunnali, i pastori lasciavano l'Appennino centro-meridionale e si dirigevano verso il Tavoliere, dove rimanevano fino a maggio, quando la bella stagione permetteva loro di ritornare verso i vasti altopiani della montagna allorché era la pianura a farsi inospitale. Così, ogni anno, per secoli.
Ricchi di piante e di acqua, le vie d’erba rappresentavano vie di comunicazione e pascoli per gli animali da fattoria, erano dotati di servizi per pastori e bestiame. Lungo le vie verdi contornate da ricche siepi, spuntarono chiese, osterie, bettole e fiorenti centri.
Vi erano anche pastori che pascolavano le pecore esclusivamente nei dintorni del paese. Alle prime incerte luci dell'alba, il pastore doveva mungere le pecore. Poi, dopo una colazione con pane, formaggio e lardo, iniziava la lunga giornata dietro al gregge, con il tovagliolo del pane alla cintura annodato alle quattro estremità, e in mano un bastone di orniello, così dalla mattina all’imbrunire, in compagnia dei suoi cani, godendo dell’aria pulita, dei profumi dei fiori silvestri e delle dolci melodie degli usignoli.
La sera poi, ritornava alla masseria e doveva mungere, bollire il latte, preparare il formaggio e la ricotta. Poi veniva il sonno alla bell'e meglio, e la mattina dopo di nuovo tutto dall’inizio.
La Laticauda era la pecora allevata principalmente nel Beneventano, dava una discreta produzione di latte e di lana e una buona produzione di agnelli.

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