domenica 24 ottobre 2010

I rimedi della nonna

Tra le reminiscenze della mia infanzia ci sono le passeggiate con nonna Beatrice per le viottole che portavano alla casetta di campagna. Una fila di girasoli, simili a giganti dorati, si ergeva a ridosso della casetta in pietre, mandorli dalla corteccia increspata e argentei pioppi le facevano da cornice. Una casetta con la pavimentazione d’argilla ben lisciata, zeppa di bauli e bauletti, gomitoli di lana multicolore, barattoli di vetro con foglie e petali essiccati di diverse piantine, e tanti brandelli di vecchi abiti che si ammucchiavano nei cantucci. Il cigolio delle porte echeggiava nella casetta, le sedie erano in legno di noce, avevano alti schienali torniti senza lacche, ne tinture, di quelle per le quali solitamente si distingue la bell’epoca antica.
Mia nonna Beatrice era una vecchietta esile dal cuore semplice, sorrideva sempre sia che stesse raccontando qualcosa, sia che semplicemente stesse ascoltando. Sul viso e nei suoi piccoli occhi neri era dipinta una tale bontà e una tale disponibilità ad offrire tutto quanto aveva di meglio. Le rughe leggere erano disposte sul viso con una tale piacevolezza che un artista le avrebbe probabilmente rubate. In quelle rughe sembrava possibile leggere tutta la sua vita luminosa e tranquilla. La nonna mi diceva sempre: “dobbiamo vivere nella letizia, alimentarla in noi stessi ed espanderla intorno a noi”, vivere nella letizia non vuol dire non vedere le brutture, vivere nella letizia vuol dire vivere nella consapevolezza estrema testimoniando nel mondo buio una diversa appartenenza dell’essere. La letizia è un linguaggio di sguardi ed è potentemente eversiva, poi aggiungeva “cerca le cose essenziali, vivi con semplicità le relazioni, cura gli affetti, ama la vita,” e questi sono i valori essenziali per non smarrirsi in un mondo che cambia in continuazione.
Con l’immaginazione rivivo i piacevoli momenti delle passeggiate… Erano calde giornate di giugno, in assenza di aliti di vento. Il fogliame del bosco era gonfio di linfa, fitto e verde, solo qua e la cadeva qualche foglia ingiallita. I cespugli della rosa silvestre si presentavano coperti di fiori odorosi e nelle radure un mare di trifoglio da miele. La segale folta, alta, scuriva e ondeggiava, giunta ormai a metà maturazione, nei roveti i merli si chiamavano l’un l’altro, nell’avena e nella segale i fagiani ora chiocciavano, ora trillavano, il codibugnolo nel bosco solamente di tanto in tanto lanciava il suo canto e poi s’azzittiva.
Un giorno vidi la nonna seduta sull'erba che masticava mughetti: “sono buoni?” le chiesi, “sono buonissimi per chi è affaticato” lei mi rispose, poi aggiunse "e stasera, per cena, qualcosa di ancora più efficace per il batticuore, i finocchietti". La nonna assaggiava del mughetto solo il fiore, perché le bacche rosse, sono tossiche, si formano finita la fioritura ed hanno un cattivissimo odore a differenza del fiore che anche a distanza emana un gradevole e penetrante effluvio.
Le nostre nonne per il benessere, fino a qualche decennio fa ricorrevano ad antichi rimedi, con la modernità molti di questi sono stati dimenticati.
Mia nonna la sapeva lunga a proposito di rimedi curativi, raccoglieva radici, bacche e fiori, con cui preparava intingoli e intingoletti.
Nella sua credenza non mancavano mai i petali freschi o essiccati di papavero con cui preparava una tisana dalle proprietà terapeutiche sedative, decongestionanti ed espettoranti. Diceva lei con aria briosa e un pò mistica “il papavero tra i tantissimi fiori che crescono spontanei è sempre quello che fa più chiasso”, voleva con questa espressione lasciare intendere che tra i fiori era quello che richiamava maggiormente l’attenzione, e di certo aveva ragione, i suoi petali di colore rosso acceso, danno il sorriso al verde dei campi di graminacee. Altre erbe presenti nella credenza di mia nonna e dalle molteplici virtù benefiche erano i fiori di camomilla essiccati, le foglie di menta piperita, le bacche di ginepro, i semi di finocchietto silvestre.
La natura, fornisce anche toccasana buoni per la pelle, che dai nostri nonni la si voleva bianca e lucida, ritenendo la pelle scura e abbronzata un segno di popolanità propria delle contadine. Le nostre nonne raccoglievano la linfa della vigna ancora verde in un vasetto ben pulito, per spalmarla poi, in modiche quantità, sulle macchie della pelle. I chicchi ancora verdi dell' orzo, stemperati nel latte, davano un liquido lattiginoso che veniva impiegato per togliere le impurità delle pelle, rendendola così più lucente. La lanugine che riveste la parte interna del baccello delle fave verdi veniva sfregata ogni sera sul viso per ravvivarne il colorito. La farina di fave mischiata con il latte tiepido rendeva più chiara la pelle, togliendo quelle antiestetiche macchie che si formavano dopo la continua esposizione al sole.Un altro cosmetico si otteneva raccogliendo ed essiccando la malva che si faceva poi bollire col decotto di piantaggine, con la lozione ottenuta si detergeva la pelle macchiata dal sole, risultando così più luminosa.
Oggi si ricorre sempre di più ai rimedi con le erbe, forse sarà una tendenza del momento, forse semplicemente un'esigenza dovuta alla voglia di tornare alle buone vecchie cose di una volta.
È comunque opportuno un consiglio iniziale, le erbe fanno sicuramente bene in moltissimi casi, ma infusi e decotti vanno assunti con cognizione, ed è bene rivolgersi sempre ad erboristi.
La semplicità della natura può a volte risolvere i problemi della salute, perché noi siamo natura, la natura è intorno a noi e il nostro bene è natura.

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