venerdì 22 ottobre 2010

Un cuore sotto i cenci

Il barbone a volte artista a volte bighellone. Immerso in uno scenario dai colori tenui e impalliditi si trascina goffamente tra i platani. Infagottato di cenci fetidi, con il viso dall’espressione malinconica delineato da mille rughe, rovista fra le cianfrusaglie. Bisbiglia con un micetto che tiene nella tasca del pastrano rabberciato. Gelide le notti nel bosco tra le rovine di un antico casolare sotto il cielo stellato, a disquisire piacevolmente con il suo micetto spelacchiato che gli sta vicino, e che lo tiene di buon umore nei momenti bigi.

Il cerchio luminoso del sole si faceva strada tra la nebbia bianca come latte, l’orizzonte grigio lilla si allargava pian piano, ma restava sempre bruscamente delimitato dall’ingannevole muro di nebbia, per curiosità mi incamminai dietro a ‘Zìì Tommasin’, che camminava barcollando sulle gambe piegate, con la schiena leggermente ricurva, i capelli brizzolati e unti che spuntavano da un berrettino a tessuto scozzese. Vestiva solitamente con una giacca in tinta marrone, corta e rattoppata, la camicia imbrattata che usciva dalle maniche coprendo in parte le mani, consunti pantaloni beige e scarponi screpolati. Aveva il viso bruno con la barba grinza e gli occhi stanchi che guardavano remissivi e servili. La loro espressione si fondeva con quella delle labbra ricurve agli angoli, come in una espressione di beffa. Dopo aver rovistato un pò nella robaccia tirò fuori delle cianfrusaglie che portò con se. Giunto all’uscio di casa, mi sgranò gli occhi addosso con diffidenza, penso si era accorto che gli ero alle calcagna. La casa era una sorta di topaia, un portone di legno tarlato, una finestra in ferro di quelle di una volta con delle rimanenze di vetro, i muri a pietra ricoperti di calce bianca. Aprì la porta con una chiave in ferro e vi sgattaiolò dentro. Mi sarebbe piaciuto tantissimo darci una sbirciatina!
Poi c’era ‘Richett’, era un artista del ferro, a colpi di incudine e martello forgiava diversi utensili, incluse tagliole per volpi e briglie per muli. Viveva in una catapecchia, con un cagnolino e un corvo nero. Scompiglio e fetore erano le cose che decoravano la casetta, con un giaciglio di foglie di granturco, una credenza, un tavolo roso dai tarli e qualche sedia impagliata. Era solito disquisire con chicchessia, aveva una mediocre dialettica e la voce pigra. Fumava dei sigarotti che confezionava da se e che avevano un odore acre e pungente. Il gelido inverno e la calura estiva non lo intimorivano minimamente, era sempre lì con un cappello che dondolava da tutte le parti e che lasciava fuoriuscire i capelli luridi e bigi, il viso scarno con la barbetta crespa, gli occhi rotondi e il naso incurvato gli conferivano un’espressione di spossatezza, bontà ed indifferenza. I suoi occhietti del tutto tondi, le cui pupille non arrivavano alle palpebre facevano trapelare un’espressione di fantasticheria. La giacca stretta copriva una maglia lurida e scendeva su rozzi pantaloni a taglio largo che coprivano in parte sbrindellati scarponcini.
Poi c’era ‘Picern’ con il viso giallognolo e tondo, con l’imponente barba rossiccia, con i capelli increspati e gli occhietti piccoli, sempre bilioso e tenebroso. Il giaccone di montone, gli scendeva fin sulle ginocchia, rendendolo più goffo di quello che era e gli conferiva legnosità nei movimenti, e poi calzoni strappati e scarponi da minatore. Nelle notti di luna piena da buon licantropo ululava nei vicoletti del centro storico e la gente brontolava perché non riusciva a dormire. Viveva in un umido scantinato completamente in pietra, con le travi di legno putrescente, un giaciglio in erba essiccata, un caminetto che conferiva alla topaia un’affumicatura e un odore di muffa e muschio. Vi era anche un una panca tarlata e un tavolo annerito pieno di fenditure e nodi. Viveva con un gallo perniciato a collo oro e due galline rossicce che contraendo i bargigli assestavano colpetti con il becco zampettando di qua e di là. Una volta mi sono incamminato per curiosità dietro a questo straccione, era una calda giornata d’estate, senza un alito di vento. Il fogliame della macchia era gonfio di linfa, fitto e verde, solo qua e la cadeva qualche foglia ingiallita di frassino. I cespugli della rosa silvestre erano coperti di boccioli odorosi, nelle radure c’erano spighe dorate, nei cespugli di more i merli si rincorrevano, nell’avena e nell’orzo le quaglie ora chiocciavano, ora trillavano, l’usignolo di tanto in tanto faceva sentire il suo canto e poi s’azzittiva. Standogli alle calcagna giunsi ad un pagliaio, dove era solito dormire in estate in calda armonia con il verde.
Ed infine c’era un vecchio tracagnotto ‘Zii Lell’, con il viso bruciato dal sole ed incorniciato da una barba grigiastra e da capelli tosati, con gli occhi di un azzurro intenso, pieni di espressione con le palpebre semi abbassate che guardavano con un espressione curiosa e bonariamente spensierata. La bocca era piccola nettamente disegnata che quando sorrideva esprimeva una quieta sicurezza e una sorta di beffarda indifferenza nei confronti di tutto quello che lo circondava. Dalla ruvidezza della pelle, dalle rughe profonde e dall’innaturale curvatura della schiena, si capiva che la sua vita era stata una gran sfacchinata. Il suo abbigliamento era sempre lo stesso, un cappello misero di lana tinta petrolio, di quelli dei pescatori norvegesi, la giacca beige a quadretti strappata in più punti e un maglione di lana di colore arancio altrettanto sporco, dei pantaloni in tinta ottone rattoppati in più parti e ai piedi relitti di quelli che una volta erano pesanti scarponi invernali. In cinta una corda rozza con appesa una chiave di ferro. Viveva in una casetta dei primi del novecento.
Ogni mattina non appena il sole spuntava e sfolgorava sull’erba, non appena la rugiada si asciugava e si condensava in gocce e come un fumo leggero si disperdeva l’ultimo vapore del mattino, si recava in campagna, dove prestava certosina assistenza alle sue piantine.
Chi sono veramente questi barboni? Una cosa è evidente, anche sotto quei cenci c’è un cuore e meritano considerazione e accoglienza.

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